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La Meditazione

La meditazione come sostegno nella sofferenza

Le tecniche della meditazione profonda, adeguatamente rinnovate per l’era contemporanea, sono sempre più riconosciute come uno strumento prezioso per affrontare la sofferenza e l’avvicinarsi del fine vita. Sono pratiche che aiutano a penetrare nell’intimo, agevolano la discesa nella profondità, e possono quindi preparare il percorso nell’ignoto.

Negli ultimi decenni numerosi studi scientifici confermano gli effetti terapeutici della meditazione a livello fisico e psicologico. Solo a titolo di esempio ricordiamo che: Daniel Goleman  dell’Università di Harvard ne dimostrò l’efficacia nel trattamento dello stress, negli stati ansiosi e nella cura di alcuni disturbi psicosomatici; Miller, Fletcher e Kabat-Zinn del Dipartimento di Psichiatria dell’Università del Massachusetts confermarono la sua efficacia nel trattamento dell’attacco di panico; Larzelere e Wiseman dell’Università di Stato della Louisiana dimostrarono i suoi benefici in persone con disturbi ansiosi, depressivi e con insonnia; Bernardi et al. (2001) del Dipartimento di medicina interna dell’Università di Pavia dimostrarono che la recita del mantra e del rosario aumentano il livello del benessere psicofisico regolando ed armonizzando respirazione e sistema cardiocircolatorio. Le tecniche della meditazione sono state anche studiate specificamente in relazione al fine vita. Williams et al. hanno dimostrato come certe pratiche di meditazione possano rispondere ai bisogni spirituali durante il fine vita e spesso migliorare anche aspetti trascurati della qualità di vita (QoL). Sul sito www.tuttovita.it si possono trovare tutti i riferimenti bibliografici necessari.

Universalità e non confessionalità della meditazione

La meditazione può essere proposta anche con un linguaggio laico, rispettando la libertà di coscienza di ognuno, con l’intento di offrire uno strumento per nutrire la propria interiorità e spiritualità. Riproponendo sapientemente queste tecniche, usando un linguaggio laico adatto, si può affrontare la dimensione spirituale del fine vita aperti ad un inclusivo dialogo ecumenico ed interreligioso.

Oltre a questi benefici, la meditazione se praticata in modo approfondito, può ridonare un senso all’esistenza. Sin dai tempi più antichi si ritiene che bene e verità sono dentro di noi, che il fondo del cuore racchiude una luce: «Scava dentro di te; dentro è la fonte del bene, e può zampillare inesauribile, se continuerai a scavare» (Marco Aurelio, Pensieri, VII, 59). Secondo tutte le scuole di meditazione la pratica assidua del raccoglimento fa acquisire uno stato di serenità e imperturbabilità, capace di resistere a qualunque condizione esterna. Allora anche nella sofferenza del corpo o nella malattia, la mente può conservare la quiete e la serenità.

L’umanità ormai vive in uno stato di attività ed agitazione continua. Il percorso nel proprio intimo potrebbe servire ad allenare l’animo e la psiche all’ultimo grande viaggio. Le tecniche della meditazione consistono quindi in un metodo pratico per raccogliere, purificare ed unificare tutte le energie psicofisiche e raggiungere una migliore capacità di affrontare le avversità della vita.

Le basi occidentali della meditazione: filosofi classici e cristianesimo

È convinzione di molti che la meditazione sia una pratica di origine esclusivamente orientale. In realtà le pratiche di meditazione sono sempre state vive anche nell’antico Occidente, e spesso proposte proprio come strumento di preparazione personale alla morte, sia nella filosofia classica che nella tradizione cristiana.

Secondo i maestri della filosofia classica si può affermare che la meditazione della morte non è fonte di tristezza, ma di gioia. Avere sperimentato l’immortalità della parte più preziosa di sé, come insegna Platone, libera il filosofo dalla paura di morire. Per gli epicurei il pensiero della morte rende più prezioso l’istante e carica di meraviglia i singoli momenti della vita; per gli stoici, la meditazione sulla morte procura la vera libertà, relativizza tutte le preoccupazioni e conduce ad una visione universale. La contemplazione della vulnerabilità umana, lo sguardo dall’alto a tutto il cosmo, sono per i neostoici causa di gioia e fanno vedere quanto sia ridicolo ciò per cui normalmente ci si affanna. In questo modo si muore al proprio egoismo per accedere all’interiorità della coscienza e all’universalità del pensiero del tutto.

Nella tradizione cristiana, sin dai tempi più antichi, è esistito un metodo di meditazione che ha affinità con gli esercizi spirituali della filosofia greca e con le tecniche dello yoga: l’esicasmo. Il cardinal T. Špidlík arrivava addirittura ad affermare che: «Per molti contemporanei è stata una scoperta venire a sapere che molti degli esercizi yoga erano praticati già parecchi secoli fa dai monaci cristiani». I temi fondamentali sui quali si fonda il metodo “psicofisico” dell’esicasmo, detto anche preghiera del cuore, sono: il sedersi in solitudine prestando attenzione alla posizione; il controllo della respirazione; il metodo di esplorazione interna; la discesa della mente nelle “viscere” alla ricerca del luogo del cuore; la recita continua dell’invocazione del nome Divino collegata al cuore o al respiro.

Riproporre sapientemente queste pratiche, pienamente radicate nella nostra tradizione, può rendere la meditazione uno strumento di vita interiore molto più profondo rispetto ad un semplice rilassamento o a pratiche di concentrazione, e quindi ancor più efficace nell’accompagnamento quando i quesiti fondamentali sul senso della vita si pongono con forza.